27 Mar. 2004

Contingenze

Lo scrittore Ernesto Sabato scrisse che la sua vita era stata scandita da catastrofi spirituali. Pochi di noi possono aspirare a tanta epica interiore. Personalmente, la mia è stata scandita dalle mie borse. La prima era una borsa militare verde, di quelle molli, con una lunga fascia da spalla, o, nei momenti più temerari da indossare a tracolla. Una borsa scomoda, sciatta e buona per tutte le occasioni e inefficace in quasi tutte. Si insaccava al centro e si chiudeva male. Abitualmente c’erano i libri (anche se quelli non erano dei veri libri: erano degli strani oggetti polimorfi, senza dignità senza alcuna aura), quaderni unti e altre cose non riferibili. Quella specie di sacco era un tentativo di unire impegno e disimpegno in una sorta di ossimoro spirituale. Una mescolanza possibile solo nella testa di una ragazzo di sedici anni. Era la mia borsa delle scuole superiori.
La seconda è una borsa tipo borsello lungo, rigida e capiente, brutta e funzionale, con maniglia e tracolla. Un borsello che conteneva perfettamente il quaderno ad anelli dei miei appunti, amico fedele che avrei conservato anche sdrucito, rotto, pasticciato. Oltre al quaderno conteneva (sempre) libri seri, importanti, libri di cui andare orgogliosi. Sicurezza, riflessione, fiera delle vanità. Per un certo periodo contenne anche, costantemente, una bottiglia di Martini. Era una borsa da rapace, capace di partire vuota alla mattina e tornare alla sera piena come un otre. Librerie, concerti, ristoranti cinesi, manifestazioni. Era la mia borsa dell’università.
La terza è una borsa di stoffa blu, sottile, morbida, da portare più a mano che a tracolla. Una borsa a cui manca veramente pochissimo per essere una borsa seria. Contiene sempre (e da sempre) un piccolo ombrello, e una cartelletta rigida che non apro da sei anni (chissà cosa c’è dentro…). Macchina digitale, articoli stampati dalla Rete, Slide. Ricette mediche. Una borsa da uomo, adatta ad affrontare il lungo ciclo della necessità.

Non so perché ho scritto questo post: forse per ricordarmi che tutte le cose della nostra vita sono frutto di contingenze che, a posteriori, si trasformano in destino.