14 Set. 2011

Dal centro alla periferia e ritorno

C’è un articolo recente di Step Two sul quale sono passato rapidamente nei giorni scorsi ma che stamattina ho letto con più attenzione. Parla di un cosa all’apparenza marginale ma che marginale non è, ovvero i luoghi in cui si produce innovazione nei progetti intranet.

L’articolo si focalizza sulle soluzioni trovate a livello locale per adattare le intranet di grandi aziende a piccole realtà decentrate, ma il suo valore si può allargare all’innovazione in generale. Simo abituati a pensare all’innovazione come una grande onda che poco alla volta coinvolge tutti i settori di un’azienda, a partire da alcuni input dati a livello centrale, ma questa è solo una parte della storia.

L’altra parte riguarda il modo in cui le persone interpretano l’innovazione, la adattano e soprattutto riguarda il modo in cui affrontano quotidianamente sfide e problemi a cui nessuno aveva pensato, e che entrano dalla finestra sotto forma di pressioni del mercato, vincoli locali, richieste dei clienti, micro-culture eccetera. In questo ambito si gioca spesso il successo o il fallimento dei mega progetti, ovvero grazie a mediazioni- innovative-periferiche: un ufficio periferico inventa un nuovo data-base, qualcuno allo sportello delocalizzato trova nuove modalità di comunicazione che riducono la fila, e così via.

Negli uffici locali, nelle sedi periferiche, nelle filiali distaccate, nei remoti open space, nei call center dislocati in questo momento c’è qualcuno che sta trovando soluzioni nuove a problemi a cui voi non avevate neanche pensato, in modi che nelle vostre sedi centrali non sarebbero mai venuti in mente. Soluzioni tecnologiche, organizzative, logistiche, comunicative.

Perché la necessità aguzza l’ingegno, e  perché l’autonomia aumenta la motivazione. Spesso si parla di intranet come un modo per creare innovazione. In realtà l’innovazione esiste già nella vostra azienda, che lo vogliate o no. Intranet può fare belle quello che fanno bene le reti: amplificare questa innovazione e renderla disponibile.

Ora il problema (vostro e nostro) dell’innovazione interna cambia un pochino i suoi connotati e assume la forma di una domanda di questo tipo: quanta distorsione organizzativa siamo disposti a sopportare per permettere che le cose funzionino?