8 Feb. 2004

Comunità di pratica e intranet

In una raccolta di ricerche di psicologia empirica sulla Comunicazione Mediata dal Computer (“Conversazioni virtuali”, edito da Guerini e Associati), mi sono imbattuto in un concetto e in un campo di studi che ignoravo totalmente (lo ammetto…) e che trovo altamente “euristico” (come dicono le persone colte…) per il tipo di lavoro comunicativo che svolgiamo in azienda. Le comunità di pratica, secondo la definizione di Etienne Wenger, sono delle comunità di apprendimento e di lavoro collaborativo che hanno tre caratteristiche principali

  • Interesse comune (obiettivi)
  • Repertorio condiviso (linguaggio)
  • Impegno reciproco (relazione)

Spero che gli studiosi della materia, come Cristina Zucchermaglio perdoneranno il mio approccio grossolano, ma quì mi interssa solo “il succo” del discorso.
Proviamo a pensare a questi elementi all’interno di una comunità aziendale e cosa viene fuori? Quali sono le caratteristiche per far emergere una community di colleghi? Dall’impostazione di Wenger possiamo, a mio parere, trarre almeno 4 caratteristiche:

  • Una appartenenza professionale omogenea (tutti quelli del Customer Care/business, ecc)
  • Conoscenza diffusa del linguaggio specialistico e professionale (acronimi, sistemi informativi, normative, ecc)
  • Uniformità nella capacità di utilizzo delle tecnologie di comunciazione (mail, web, forum, ecc)
  • Problemi professionali condivisi (la maschera che non funziona, gli aggiornamenti che non ci sono, ecc)

Credo che queste caratteristiche siano irrinunciabili se vogliamo coinvolgere i colleghi all’interno di un progetto di condivisione on line della conoscenza professionale. Insomma, le comuntà tecniche vanno progettate bene, selezionando gli attori, assicurandosi una conoscenza tecnologica di base, individuando temi e problemi che riguardino “veramente” la comunità in oggetto. Le comunità non si creano magicamente, e non dipendono dalla presenza o meno di sistemi sofisticati di comunicazione. Richiedono molto lavoro a monte. Ma credo sia l’unico modo per partire con il piede giusto.