6 Mar. 2020

Il lavoro da remoto, tra tormento ed estasi

Un paio di segnalazioni, credo molto interessanti, mi danno modo di  parlare di un tema che, in questi giorni di smart working “spintaneo” per molte persone, credo sia pertinente.

Io ho iniziato a lavorare da casa nel 2006, dopo essermi licenziato da Alcatraz, e  non è stata una passeggiata. Stavo con due schermi nell’ingresso di casa mia, il tavolo era troppo stretto (come si vede nella foto) e ogni giorno dovevo motivarmi da solo.

C’era un po’ di solitudine, a volte anche un senso di abbandono, peraltro lo spazio era senza finestre, eravamo insomma molto lontani dall’idea agiografica del freelance (ne ho parlato nel 2010 in un post che è stato molto letto).

Giacomo mason lavoro da casa 2006
Io che lavoro da casa nel 2006 dopo essermi licenziato da un’azienda di 80.000 dipendenti
Il mio studio nel 2013. Stanza isolata, ampia, luminosa, spaziosa. Era la condizione ideale per lavorare da casa, ma continuavano ad esserci i problemi del senso di solitudine e dell’eccessiva ibridazione vita-lavoro

E allora qual è la situazione, al di là delle facili euforie che questo tema suscita in chi è costretto a timbrare il cartellino tutti i giorni?

La ricerca di Remote.Tool

Ci vengono in aiuto due indagini recenti. La prima è intitolata Lo stato del lavoro remoto 2020.

La ricerca è promossa da remote.Tools, una directory di tool per supportare il lavoro da remoto, directory peraltro molto interessante (promossa a sua volta da Flexiple, un marketplace di Freelance).

I risultati di questa indagine, svolta su 331 lavoratori da remoto (tra freelance e impiegati in azienda) sono i seguenti:

  • per la maggior parte, gli smart worker non tornerebbero indietro al lavoro di ufficio tradizionale;
  • la motivazione principale è la possibilità di lavorare in modo flessibile;
  • i problemi più grandi rimangono l’equilibrio tra lavoro e vita privata e la solitudine;
  • anche con la crescita degli spazi di co-working, i lavoratori remoti scelgono comunque di lavorare da casa;
  • nel lavoro a distanza probabilmente le persone lavorano più del dovuto;
  • le aziende stanno lentamente capendo che avere un’azienda remota al 100% è meglio dei team parzialmente remoti.
Le difficoltà più grandi: separare lavoro e vita privata e senso di solitudine

Riguardo al tema del rapporto lavoro-vita privata mi sembra di aver capito, anche facendo appello alla mia lunga vita da freelance successiva alla mia altrettanto lunga vita da dipendente, che così come si può scivolare lentamente nell’alcolismo, così si può scivolare, giorno dopo giorno, in una condizione di vita-lavoro senza confini che è forse l’aspetto più tangibile dell’attuale fase del capitalismo.

Lavoro o vita privata?

Un’altra cosa interessante della ricerca riguarda la coesione sociale e cosa la favorisce: il 34% dei rispondenti dichiara che il miglior metodo è creare canali digitali di scambi informali (ci avreste scommesso? Io no).

Per garantire la coesione dei team, i canali informali digitali (tipo macchinetta del caffè virtuale) vincono comunque su quelli fisici.

Ecco a tal proposito una citazione sul tema dei canali slack informali, presa dal report:

An aspect which helps people bond with each other is common interests. Building slack channels that cater to specific interests where people can interact with others sharing similar passions helps them to get to know one-another, while adding an extra dimension to their workday. In our survey, 34% of our respondents shared that such dedicated channels were the easiest and probably the best method to build culture.

“…things we have done where we find success at Invision and in my own team are: Channels in slack where people have certain interests. We have got about a few hundred at this point from cryptocurrency to NBA…..That’s actually how you can really have a like a socialisation of certain themes and things that you are interested in with other co-workers.

Scott Hanford, Director of Customer Acquisition at Invision

Consigli per gestire un team remoto

Vi suggerisco, nello stesso report, di dare un’occhiata anche ai consigli su come gestire un team remoto, e mi sembra che di questi tempi ce ne sia un gran bisogno.

I consigli riguardano 4 aree e svariate sotto-aree:

La ricerca di Buffer

Ben più consistente la ricerca di Buffer  sul lavoro remoto nel 2020. Questa survey ha coinvolto 3521 lavoratori da remoto, per lo più in Stati Uniti (47%) ma anche in Italia (1,1%, ovvero circa 35 rispondenti).

Anche in questo caso gli aspetti ritenuti positivi e quelli ritenuti negativi sono simili alla ricerca precedente.

Flessibilità e lavoro nomade sono i vantaggi più gettonati
Difficoltà di comunicaizone e solitudine sono i problemi principali

Ed ecco gli insight più rilevanti della ricerca

  • Chi non raccomanda il lavoro remoto fa parte di team divisi tra ufficio e remoto.
  • I lavoratori remoti sono più felici quando trascorrono più del 76% del loro tempo lavorando a distanza.
  • L’assenza di pendolarismo resta il più grande vantaggio per i lavoratori remoti.
  • Comunicazione, collaborazione e solitudine continuano ad essere le principali sfide per lavoratori e organizzazioni remote.
  • La maggior parte delle organizzazioni con lavoratori remoti non paga le spese mensili associate al lavoro a distanza.
  • La casa resta il posto di lavoro principale.

Credo che tutto questo ci dica quantomeno che siamo ancora molto lontani dall’aver trovato la formula magica che bilancia vantaggi e svantaggi del lavoro da remoto.

Quello che è certo è che dobbiamo tenerci lontani dagli impostori dell’euforia e della disillusione, perché lì non c’è mai la verità.

Sperimentiamo, andiamo avanti, non smettiamo di cercare i giusti tool, studiamo le migliori pratiche, non fermiamoci ai primi ostacoli, che certo ci saranno e proviamo a trovare il giusto equilibrio.

E’ il momento giusto per farlo.