18 Mag. 2004

Le cose

Visto che sono strapreso dal lavoro e da altre bazzecole insignificanti, posso solo postarvi un mio racconto scritto all’epoca dell’università, ovvero quando eravamo saccenti, beffardi, creduloni e ignari. Ciao a tutti… 🙂

Dopo quatto mesi di assenza, incrocio Giorgio, per caso, davanti alle aulette degli esami.
Dopo due minuti dal nostro incontro, esauritisi i saluti di rito, comincia a parlarmi del fatto che non crede più negli oggetti e che tutto è un segno…
Sembra che questa convinzione gli sia maturata in un momento imprecisato dei mesi scorsi. Da quel momento tutti gli oggetti si sono come “alleggeriti”.
Me lo spiega con aria complice, allusiva, come un segreto tra pochi iniziati, e quando dice “oggetto” mette la mano come se reggesse una palla, per farmi capire che gli oggetti sono proprio gli oggetti.

Io dico si, si, ok.
Tre minuti dopo, quando gli oggetti si sono già dissolti, mi spiega che collabora ad un lavoro di gruppo, composto solo di “segnisti”, e che vogliono anche pubblicare i risultati delle loro ricerche; niente di preciso, nessuna pretesa oracolare, una rivista “aperta”.

Io dico bene, bene, ok.

– “E il titolo qual è?” – Domando compassato, anche se in quel momento vorrei solo scappare, rendermi invisibile, volatilizzarmi. Lui si aggiusta gli occhiali con aria professionale e fa una breve pausa ammiccante prima di pronunciare: – “Micrologos”. “Forse il titolo è un po’ velleitario” – aggiunge prudentemente.

Io penso che di fronte alla definitiva scomparsa degli oggetti l’aggettivo “micro” sia addirittura modesto, ma non lo dico per non sembrare provinciale.
Mi confida, ciondolando, che ci hanno pensato due giorni, lui e la Luisa, indecisi tra un taglio “simbolico” e uno “allegorico”; annuisco, ipocritamente, sull’abisso che separa il simbolico dall’allegorico.
In realtà, mi confessa, aveva già capito tutto S. Beckett, che infatti lui e la Luisa stanno studiando intensamente, alla ricerca di tutti i punti in cui si avverte la sua forza “decostruzionista”.
Sotto un’aria vagamente ispirata, ripasso freneticamente tutto quello che ho letto di S. Beckett alla ricerca del suo decostruzionismo, ma lui è già scivolato su Lacan passando per il secondo Wittgenstein (ovviamente…), mentre le aule degli esami si stanno riempiendo fino all’inversosimile. Cinque minuti dopo si sono già dissolti, nell’ordine:
– Io
– Mondo
– Storia
– Metafisica

e altre tre o quattro parole con la maiuscola. Apprezzo il suo contegno nel riuscire a “decostruirmi” l’universo mentre la gente ci sommerge e il frastuono si fa assordante. Ad un certo punto mi ricordo con apprensione una cosa: -“senti” – gli domando con sincera curiosità -“ma tu non eri marxista?”.
“Vedi” – mi risponde concitato -“Marx, come tutti i pensatori dell’800, si è compromesso con i significati, non è riuscito a sganciarsi da un rapporto naturalistico con le cose, noi dobbiamo analizzare le catene di significanti, solo quelle hanno un valore. Le categorie che usava Marx” – aggiunge perentorio, mentre la gente ci è sempre più addossata – “vanno dissolte”. Tale accanimento “dissolutorio” mi fa pensare che probabilmente siamo in troppi nell’aula, infatti si fa fatica a respirare.
Forse le sue fantasie nascono da qui, penso, dall’affollamento di questo posto, ma lui mi toglie ogni dubbio, dicendo che il dissolvimento è una nuova “forma del pensiero”.
– Ah mi pareva – dico, non senza delusione, asciugandomi il sudore che ormai, dopo dieci minuti, comincia ad affiorare. Fortunatamente, non viene sfiorato l’argomento di una mia eventuale collaborazione al “progetto”; la possibilità viene liquidata alla radice dalla necessità di non compromettere con “una crescita vorticistica di idee” un’ipotesi di lavoro ancora, bisogna ammetterlo, molto precaria.
Aggiunge, laconico, che nel campo della comunicazione esistono “lacune incolmabili” e conclude che “bisogna restare con i piedi per terra”. Mentre mi domando che significato possa avere per lui quest’ultima frase, si ricorda che ha mille cose da fare e mi saluta. – E allora, gli oggetti? – Gli grido preoccupato, mentre si allontana velocemente nella densa melma di studenti. – Come? – mi domanda voltandosi. – Si, – dico – Gli oggetti, le cose…-
Mi guarda con bonaria sufficienza, capisce che non sono convinto e che, probabilmente, non ho capito nulla; alza le spalle con rassegnazione e, con soave leggerezza, si dissolve.