9 Feb. 2005

Altri frammenti sull'oralità della Rete

Come spesso mi accade in questo periodo, la riflessione sulla scrittura in rete cattura i miei pensieri. E, come spesso accade, mi ritrovo a misurarmi con intuizioni, anticipazioni, collegamenti. Coincidenze. Ogni tanto leggo i blog di alcuni “ggiovani” (poco, quel tanto che basta per non farmene nauseare) per accorgermi di come la scrittura venga spesso (correttamente?) capovolta e la sua funzione, (posto che abbiamo un’idea chiara della sua funzione), deviata sulla mera presenza, sul suo solo aspetto fàtico (io ci sono, io sono qui, io) che forse è quello che conta davvero. Noto , per inciso che questa condizione di “faticità” è, forse, la sola condizione possibile per una comunicazione come fatto “vivo”, presente, completo. Sempre più, insomma,  penso alla scrittura in rete come ad una specie particolare della conversazione, del dialogo. Come un fatto di oralità. Solo che in rete noi non apriamo bocca, e usiamo le nostre dita. Platone (nel Fedro, credo) si riferiva al pensiero come ad un dialogo con se stessi, ma in fondo era solo una bella metafora. Noi sappiamo che il pensiero ci si offre, in genere, in una sorta di mediata-immediatezza (più o meno come voleva Husserl, o qualcosa del genere). Nel dialogo invece c’è voce, nel dialogo c’è ascolto, nel dialogo c’è corpo, fisicità. C’è avvicinamento e allontanamento, in un gioco incessante della prossimità. Nel dialogo noi udiamo almeno una voce, la nostra e, soprattutto, prestiamo orecchio. Nel dialogo, insomma, c’è il corpo vivo del mondo e non il corpo morto della scrittura. E allora che cosa abbiamo per le mani? Questa cosa mi fa impazzire.
Ieri una blogger mi ha scritto che le piace “parlare” con i suoi lettori (o qualcosa del genere). Si riferiva a post, mail, commenti. Non certo a telefonate, e tanto meno a incontri (brrr) dal vivo. Stasera, poi, mi capita a tiro un breve saggio di Hans Georg Gadamer, che forse non c’entra nulla ma che mi risuona come un armonico lontano sulla tonalità base dell’oralità. Si parla di ascolto, ovvero una dimensione che appartiene più all’intreccio della vita che a i mesmerismi della scrittura. Ma in rete le coordinate cambiano e la comunicazione devia verso territori non euclidei. Personalmente lo considero un altro frammento (retrospettivo) su un fenomeno del quale abbiamo appena cominciato a fare esperienza.

“Quel che qui ci interessa è il modo in cui si realizza l’ascolto. Non è semplicemente la registrazione di quel che una macchina può registrare. E’ una parola che ha raggiunto l’altro nel suo comprendere. Una tale parola richiede una risposta. In tal senso anche il discorso davanti a un grande pubblico è un dialogo portato avanti attraverso tante risposte silenziose. Come in ogni dialogo, anche qui ci si avvicina l’uno all’altro in una reciprocità, ovvero ci si confronta con l’altro. E’ questa una delle esperienze basilari della nostra convivenza umana: colui a cui è rivolta la parola deve comprendere ascoltando e colui che parla viene accolto dalla silenziosa risposta dell’ascolto. Come nel dialogo, anche qui deve valere l’eseperienza basilare della convivenza umana che è quella della mutua comprensione.”
H.G. Gadamer – Sull’ascolto – 1998 – Laterza